Macco di fave: storia e wine pairing

Marzo è il periodo in cui in vigna, tra i filari di vite, avviene l’interramento del sovescio.
Questa pratica agricola serve ad arricchire il terreno di sostanza organica e azoto in modo naturale, in linea con i requisiti dell’agricoltura biologica.
La coltura utilizzata nelle vigne di Baglio Diar è il favino da sovescio, una specie leguminosa particolarmente indicata nei terreni argillosi dove è già presente una buona quantità di sostanza organica.

Più conosciuta del favino (Vicia faba minor) è la fava (Vicia faba maior), sua “cugina” in termini di varietà, la quale appartiene infatti alla stessa specie botanica. La differenza tra i due sta nella dimensione del seme e, di conseguenza, nell’utilizzo. Come il nome stesso suggerisce, i semi del favino sono più piccoli e proprio per questo si prestano bene alla tecnica del sovescio poiché la quantità di seme necessaria nella semina è inferiore.
La fava invece produce semi più grossi ed appiattiti che sono quindi più adatti al consumo umano.

In Italia, la fava è coltivata prevalentemente nelle regioni meridionali ed insulari, come in Sicilia, dove in passato questo legume ha rappresentato la principale fonte proteica per le popolazioni locali tanto da guadagnarsi l’appellativo di “carne dei poveri”.
Come per il favino, con l’arrivo della primavera giunge anche la stagione delle fave fresche che cominceranno presto a popolare i mercati rionali per prestarsi a svariate ricette.
Quando la loro stagionalità giunge al termine, le fave secche restano disponibili per tutto il resto dell’anno.

La ricetta siciliana indubbiamente più celebre che vede come protagoniste le fave, sia fresche che secche, è il macco. Il macco di fave, o maccu in dialetto, è una minestra cremosa e nutriente, profumata grazie al finocchietto selvatico e, a piacere, arricchita con le verdure o pasta spezzata come vuole la tradizione.
Sebbene venga preparato in tutta la Sicilia, anche se con piccole variazioni sulla ricetta, il macco viene considerato un piatto tipico del comune di Raffadali, in provincia di Agrigento, dove in passato veniva preparato in occasione dei festeggiamenti per la fine del raccolto.

La preparazione di questa ricetta è semplice ma non immediata; la pietanza deve infatti la sua consistenza cremosa all’ammollo dei legumi dalla notte precedente alla cottura. Questo passaggio è particolarmente importante se si utilizzano legumi secchi per farli ammorbidire. È proprio la sua consistenza distintiva che dà il nome al piatto: macco deriva dal latino maccare ovvero “ridurre in poltiglia”.
Dopo l’ammollo segue una cottura delle fave su una base di soffritto ed aromi a piacimento. L’erba aromatica che non deve mancare è il finocchietto selvatico, tritato finemente e aggiunto a cottura terminata in dosi abbondanti.
Prima che le fave siano del tutto disfatte invece si possono aggiungere le verdure e la pasta, oppure finire il tutto con dei crostini di pane abbrustolito.

Il finocchietto selvatico dona alle fave una spiccata fragranza, caratterizzando questo piatto con le sue note fresche di anice.

Ad accompagnare la delicatezza del macco consigliamo il Diornu Baglio Diar, vino schietto e sincero da uve biologiche Inzolia (85%) e Chardonnay (15%).
Diornu è un vino fresco e minerale che offre al naso sentori delicati di mela insieme a note di finocchio, menta e gelsomino.
La sapidità del Diornu rende le fave più dolci e la sua vibrante acidità rinfresca il palato ad ogni sorso. La delicata aromaticità del finocchietto si accompagna bene ai delicati sentori erbacei del vino ed insieme lasciano al palato una piacevole pulizia che induce al prossimo boccone.

Il macco di fave è tipicamente un piatto della tradizione contadina che non ha troppe pretese se non quella di essere gustoso e saziante. Per quanto di umili origini, si tratta di una ricetta avvolgente e genuina che si presta bene ad essere celebrata accanto ad un vino elegante ed altrettanto rappresentativo del territorio come il nostro Diornu.

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